Poldo

Poldo era il mio cagnone quando ero ragazzo. Era un magnifico esemplare di Drahthaar, che in tedesco, mi dicono, significa ‘pelo ispido’. Vantava un pedigree di tutti rispetto: i suoi antenati avevano nomi altisonanti, da imperatori austroungarici e principesse prussiane. Una stirpe nobile, che prometteva fierezza di comportamento, coraggio e ubbidienza.

La realta’, lo confesso, era un po’ diversa. Innanzitutto, Poldo non era nato né in Stiria, né nel Palatinato e tantomeno nel Brandeburgo. Era venuto al mondo a Pianello Val Tidone, terra di salumifici e colline coltivate a vigneto. È una storia un po’ lunga ma val la pena di raccontarla. Mio padre era diventato amico del Gianni, il macellaio di Pianello: erano stati a caccia insieme un po’ di volte, e mio padre gli aveva regalato qualche bottiglia dell’imbevibile grappa che produceva clandestinamente. Il Gianni, a sua volta, aveva promesso a mio padre uno dei cagnolini della prossima cucciolata della sua cagna da caccia. Erano altri tempi: la caccia non era considerata un’attività da barbari assassini, si mangiavano grandi panini al salame e fette di lardo, e i più pensavano che il colesterolo fosse quel materiale leggero a pallini bianchi che serve per coibentare i solai.

Una sera di maggio, il Gianni portò come al solito da mangiare ai suoi cani. Nutriva le sue bestiole con gli scarti della macelleria: secchiate di cotiche di maiale, macinato di manzo non più adatto alla vendita, interiora. Bene, quella sera il Gianni rovesciò una secchiata di questo ben di Dio nella ciotola di Wolfgang Ratzinger Von Stauffenberg IV, il migliore dei suoi cani da caccia, che a dispetto di quanto riportato sul pedigree rispondeva al nome di Billo e che poi divenne, come vedremo, il nonno di Poldo. Era stata una lunga giornata alla macelleria, e il Gianni se ne andò sbuffando. Dopo aver spazzolato la sua cena nel giro di pochi secondi, Billo si accorse che il Gianni non aveva chiuso bene la porticina del serraglio.

In men che non si dica, Billo correva felice per il cortile, girando in tondo e annusando l’aria di maggio. Odore di fieno, di altri cani, di pisciata di cavallo, di tubo di scappamento della macchina del Gianni, di merda di vacca. Un meraviglioso pot-pourri inebriante, il profumo trionfale della libertà! Billo aspirava a pieni polmoni e catalogava mentalmente ogni essenza. Fagiano, anzi fagianella. Lepre, passata probabilmente ieri mattina. Il tasso, maledetto schifoso, se lo becco lo ammazzo. Una pernice. E questo? Billo si fermò improvvisamente, con la coda ritta e le narici spalancate. Un aroma mai sentito. Celestiale. Esotico. Eccitante. Billo si mise immediatamente sulle tracce. Doveva trovare la fonte di quell’essenza. Gli pareva, ogni tanto, di distinguere una sfumatura di merluzzo essiccato, mescolata a qualcos’altro che scatenava in lui l’istinto del maschio. La traccia si faceva via via più definita e sembrava portare ai bordi del paese. Billo era concentratissimo, nulla e nessuno poteva distoglierlo dalla sua ricerca. Sembrava quasi un robot le cui parti interagivano sulla base di impulsi elettrici. Il suo sensibilissimo naso aspirava l’aria, il sistema olfattivo trasmetteva l’impulso al cervello che elaborava l’informazione ordinando alle gambe di muoversi in fretta verso l’origine di quell’olezzo celestiale e proiettando nella sua immaginazione eccitanti scene di accoppiamento.

Dovete sapere che nei paesotti delle valli una o due volte all’anno arrivava il circo. Lavoratori circensi dall’aspetto un po’ truce piazzavano i tendoni colorati in un campo fangoso e sistemavano le gabbie con qualche leone spelacchiato e magari un elefante indiano dall’aria rassegnata. Anche a Pianello passava un circo che vantava, oltre ai soliti trapezisti e mangiafuochi, una coppia di scazzatissimi cammelli sputacchioni e la Lola, una grassissima foca che sguazzava felice in un vaschino di acqua putrida. Ed è proprio qui che si fermò la ricerca di Billo, al vaschino della Lola. Billo era un bell’esemplare di nobile stirpe canina, ma era anche, diciamo cosí, di bocca buona. La Lola era una bestiola molto socievole, che amava divertirsi e giocare con gli altri animali, e in quel periodo dell’anno, per la sua specie, culminava la stagione degli accoppiamenti. E fu così che, in spregio alla genealogia e alla segregazione razziale, le due bestiole se la spassarono felici rotolandosi nell’acqua fangosa. L’idillio amoroso purtroppo non durò che un paio di minuti: uno dei guardiani del circo, attirato dal trambusto, prese a menar vergate sulla schiena del povero Billo, che batte’ in ritirata guaendo. La Lola riparò triste nella sua vasca.

Se il connubio fu breve, non fu pero’ infecondo. Billo aveva infatti fama di amatore rapido ma efficace, e la Lola, primo caso semi-documentato nella letteratura zoologica di fecondazione cane-foca, rimase gravida, seppur a insaputa del guardiano. Il circo ripartì nel giro di qualche giorno per un tour che comprendeva esibizioni a Pittolo, a Pontedellolio per la Festa della Pancetta e poi a Travo. Durante questi spettacoli, la Lola apparve più appesantita del solito e un po’ malinconica. Fu pero’ a Mezzano Scotti, alla vigilia di un importante spettacolo ai primi di luglio, proprio al culmine della stagione circense, che la realta’ venne alla luce sotto forma di un cuccioletto pezzato che sembrava un pelouche. Aveva zampe anteriori canine e estremità posteriori da foca, le orecchie un po’ pelose e uno spesso strato di pinguedine sotto la pelliccia. La Lola si prese immediatamente cura della bestiola, allattandola e coccolandola.

Il padrone del circo era un omone pelato, con un paio di baffi a manubrio e due occhiacci neri. Da giovane faceva il mangiafuoco, ed era riuscito piano piano a mettersi in proprio e a creare un circo tutto suo. Aveva cominciato con pochi trapezisti e un lanciatore di coltelli, poi aveva via via acquistato gli animali, comprandoli da altri circhi gia’ affermati. La Lola gli era costata un bel po’ di soldini, ma fino a quel momento gli aveva reso bene: non era una bestia pericolosa, i bambini la adoravano e sembrava quasi che si divertisse ad esibirsi. Negli ultimi tempi, pero’, le sue performance erano sensibilmente peggiorate, e adesso sembrava che volesse dedicarsi solo alla cura del mostriciattolo che aveva partorito. Lo allattava continuamente, al punto che era persino dimagrita. Rifiutava addirittura di esibirsi, non giocava più con la palla colorata, non sbatteva le pinne. In compenso, pretendeva ancora il suo rancio quotidiano. Per l’economia del circo, era passata dall’essere una attrazione redditizia a una voce di bilancio passiva. E poi rimaneva il mistero di come fosse rimasta incinta. Esisteva una specie di regola non scritta per cui i circhi si spartivano il territorio, evitando di fare spettacoli nelle zone di competenza altrui; quindi, la Lola non poteva essere entrata in contatto con foche di altri circhi. Il cucciolo aveva inoltre uno strano aspetto, sembrava quasi un cane! Sicuramente non si sarebbe potuto impiegarlo come animale da circo, con quelle zampacce e le orecchie pelose. Un essere così deforme avrebbe suscitato ribrezzo. Il padrone del circo ne discusse col guardiano che aveva preso a bastonate Billo, e lo incaricò di sbarazzarsi della foca e del suo strano cucciolo. Fu a questo punto che al guardiano tornò in mente quella sera di maggio, a Pianello, quando aveva cacciato via quel cane da caccia che si rotolava con la Lola. Non aveva raccontato a nessuno dell’accaduto, un po’ perché era sua responsabilità controllare che nessuno si avvicinasse agli animali, e un po’ perché non gli aveva dato importanza: era solo un cane che voleva giocare con la Lola. Più ci pensava, più gli tornavano in mente i dettagli: il cane sembrava proprio uno di quelli del macellaio da cui il circo si riforniva degli scarti di carne da dare in pasto al leone! Non c’era dubbio, il cane era proprio quello, e doveva essere lui il responsabile della gravidanza. Fu così che il guardiano, che era si’ una persona dall’aspetto truce ma in fondo era un tenero, assicurò al padrone del circo che avrebbe fatto sparire i due animali. Caricò a fatica la Lola e il suo piccolo (che, come vedremo, era in realta’ una piccola) sul pianale del suo vecchio motocarro e si diresse a Pianello. Arrivato nel piazzale antistante la macelleria del Gianni, scaricò senza tanti complimenti le due bestiole e ripartì veloce.

Pochi istanti dopo, Billo, che era appisolato nel suo serraglio, scattò in piedi come una molla. Percepì distintamente quel profumo celestiale, quell’olezzo sensuale con una punta di merluzzo marcio che gli richiamava alla memoria quei brevi meravigliosi attimi di passione di qualche mese prima. Riuscì a saltar fuori dal serraglio e irruppe sul piazzale antistante la macelleria, dove al culmine dell’eccitazione incontrò la Lola. Mentre il cucciolo si era trascinato a curiosare sul retro della macelleria, Billo e la Lola festeggiarono l’incontro rotolandosi e copulando a gran foga. Alcuni clienti della macelleria, attirati dallo schiamazzo, uscirono sul piazzale e assistettero increduli alla scena: qualcuno sghignazzava, altri osservavano stupefatti le due bestiole che se la spassavano allegramente, incuranti dell’assenza di privacy e a dispetto dell’appartenenza a due famiglie zoologiche ben distinte. Anche il Gianni uscì dalla macelleria, e dovette attendere un bel po’ che si calmassero i bollenti spiriti prima di riuscire a far rientrare Billo nel serraglio. La Lola, intanto, si era concessa un bel bagno rinfrescante nella roggia che scorreva dietro alla macelleria, e fu subito chiaro che da lì non si sarebbe mossa.

Fu cosi’ che il Gianni decise di adottare la Lola e il suo cucciolo, che si rivelò essere una femminuccia e venne battezzata col nome di Bunda. Quando raggiunse eta’ da marito, Bunda fu presentata a Ulrich Marcinkus Löwenhaar, un magnifico esemplare di stirpe prussiana dal mantello bruno. Balto, questo il nome a cui rispondeva, era secondo solo a Billo per coraggio, capacità venatorie e riproduttive. Bunda diede cosi’ alla luce un cucciolo, a cui venne dato il nome di Poldo, il mio Poldo. Il Gianni, fedele alla promessa, ne fece dono a mio padre, non senza raccontargli la curiosa vicenda della discendenza dalla foca Lola.

All’atto della compilazione del pedigree, per mantenere l’onore della stirpe, la Lola assunse il nome di Luigia Löwenbräu von der Leyen e Bunda quello di Bertha Braunberger Von Wunster, due fattrici famose per la purezza e la stretta aderenza ai canoni della razza. Poldo divenne il mio fedele amico, protagonista di mille avventure che racconterò forse un’altra volta.